
Io dico che dobbiamo osare: dobbiamo immaginare – per necessità, per resistenza – una nuova maniera di pensare.
Nelle scorse settimane mi sono accapigliato più volte con chi sostiene che, contro la Russia di Putin e in aiuto all’Ucraina, bisogna inviare armi.
Con chi bolla qualsiasi invito al dialogo come “filo-putinismo”.
Pur consapevole dei limiti della mia posizione (non è che l’aggressione a uno Stato può essere accettata come se nulla fosse), mi sono comunque andato convincendo che le armi sono l’ultima delle cose di cui l’Ucraina ha bisogno. Troppo grande è il rischio di prolungare la guerra – a spese del popolo ucraino – e troppo grande è il rischio di vederla degenerare verso l’ipotesi nucleare.
Di armi nucleari parlano da anni gli americani. Più volte si è ipotizzata la necessità di costruirne di meno impattanti (e dunque più probabilmente utilizzabili). Di armi nucleari parla ora Putin (quello, per intenderci, che i sostenitori delle forniture di armi definiscono sbrigativamente un pazzo).
Di intervento degli Stati Uniti parla sempre più spesso Biden, che già finanzia la resistenza ucraina e chiede più soldi per la NATO e le armi agli alleati.
Ha parlato di truppe americane da inviare a Kiev, per difendere il personale diplomatico statunitense.
Ha detto che un’invasione cinese a Taiwan provocherebbe una risposta militare americana.
Sta giocando con il fuoco, il democratico Biden, capo autoproclamato del «mondo libero».
Intanto, mentre inviamo armi pesanti che gli ucraini useranno contro i russi, gli errori compiuti dalle grandi potenze si accumulano, e speriamo che non si giunga realmente al punto di non ritorno.
Dobbiamo immaginare un altro modo di pensare. Proprio perché non siamo nelle stanze dei bottoni, in fondo, nessuno ci impone di prendere decisioni che condizioneranno il destino dei popoli. Possiamo, dobbiamo lavorare allora per diffondere una cultura “umanitaria”, anzi, umana, improntata al rispetto di ciò che è umano.
Di fronte all’aggressione, restiamo umani.
Di fronte all’intrigo, restiamo umani.
Di fronte alla propaganda, conserviamo l’amore per l’umanità. Per gli ucraini, per i russi, per gli americani, che in fin dei conti non sono solo Biden, Zelensky e Putin.
Organizziamo il nostro essere umani. Chi va proclamando la guerra dovrebbe essere messo a tacere dalle nostre pernacchie. Dalle nostre risate.
Putin è certamente un invasore, ma dobbiamo sapere che l’occidente avrebbe tanto da offrire alla Russia, in termini di sicurezza e rispetto, se solo si decidesse a mettere qualcosa sul tavolo delle trattative di pace. E dobbiamo ricordare che, più la guerra dura, più l’Ucraina ne è ferita, per quanto chi viene attaccato abbia il diritto di difendersi.
Dobbiamo – se non come governi almeno come opinione pubblica – tornare a coltivare il tabù della guerra: la guerra non si fa, è sbagliata, non è un’opzione percorribile.
Di fronte ai cambiamenti che stanno investendo il mondo, non dobbiamo rinunciare alla nostra umanità. In questo senso, faccio mia la lezione pacifista di Vittorio Arrigoni che, dalla Palestina dilaniata dalle bombe israeliane, continuava a ripetere il suo invito a restare umani.
Solo questo possiamo fare (ma dobbiamo costruirlo): restare umani.